Nel novembre 2004, la Camera ha approvato la proposta di legge di modifica dell’articolo 9 della Costituzione, senza riformularlo ma aggiungendo un terzo comma: «La Repubblica tutela l’ambiente e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle generazioni future, protegge le biodiversità e promuove il rispetto degli animali». «Una riforma storica», una «rivoluzione culturale», l’hanno definita il relatore Giulio Schmidt di Forza Italia e Marco Boato dei Verdi, soddisfatti per il larghissimo consenso. Plauso anche dal mondo ambientalista e animalista. L’iter costituzionale è avviato, il primo passo è compiuto.

8 milioni e mezzo di famiglie vivono con animali

Gli animali domestici in Italia sono 30.000.000. Il 45% della popolazione italiana – ovvero 25.500.000 persone – vivono con uno o più animali. Presso 4.500.000 di famiglie (circa 13.500.000 persone) c’è un cane o più. Quelli con proprietario censiti sono 4.100.000 (quelli presunti arrivano a 5.800.000).

A far la parte del leone, i gatti, con 6.600.000 individui.
Oltre a cani e gatti, 12.000.000 di uccellini e 5.500.000 di pesci. Per curare i loro amici a quattrozampe gli italiani spendono ogni anno 1.600 milioni di euro l’anno (200 miliardi di vecchie lire).
Il mercato che ruota attorno ai mangimi per animali fattura 888 milioni di euro l’anno (2.000 miliardi di vecchie lire). Il numero degli animali da compagnia sta aumentando, in tutti i paesi industrializzati, raggiungendo tassi di crescita annua fino al 10%.

Un popolo di mangiatori di carne

In Italia in un anno mangiamo 570 milioni tra polli, tacchini, galline e faraone, 5 milioni e mezzo di agnellini, 3 milioni e mezzo di manzi, 2 milioni di conigli, 1 milione e mezzo di vitelli, 2 milioni e mezzo di pecore e capretti, 500.000 cavalli. Da questi conti sono esclusi animali «minori», come per esempio le 5000 tonnellate di chiocciole bollite vive annualmente...

Nel mondo, sono 10 miliardi gli animali macellati in un anno, senza contare i pesci.
C’è la possibilità di non partecipare a questo luculliano banchetto: smettere di mangiarli.

I vegetariani italiani sono ormai tre milioni, raddoppiati in meno di tre anni. Secondo una ricerca Eurispes intorno al 2050 saranno la maggioranza. L’AVI, Associazione Vegetariana Italiana, ha già contato più di trecento ristoranti vegetariani nel nostro Belpaese, ai quali bisogna aggiungere i moltissimi che vantano appositi menu. La dieta mediterranea, da questo punto di vista, è ideale: quasi tutti i primi sono già vegetariani, tra paste e risotti, e poi, con verdure, uova e legumi, il secondo non è un problema, specie se si sanno cogliere anche gli spunti di cucine etniche (arabe e indiane) che arricchiscono di molte buone idee il menu verde. Persino i più cauti e conservatori nutrizionisti concordano ormai sul fatto che si può crescere sani e forti anche senza la “fettina”.

Quanto costa davvero la “fettina”?

Un bovino rumina 800 kg di proteine, per produrne meno di 50. Un ettaro coltivato a cereali darebbe cinque volte più proteine di un ettaro destinato all’alimentazione bovina e alla produzione di carne, mentre i legumi ne darebbero dieci volte di più e i vegetali a foglia ben quindici volte di più.
L’11% del mangime si trasforma in carne, il resto è spreco, espulsione, dissipazione.
Per produrre un chilo di carne rossa ne occorrono dieci di cereali e fino a 25.000 litri d’acqua, che invece potrebbero essere usati diversamente, non dati in pasto ai bovini!
Se tutti fossero vegetariani o vegani, la fame nel mondo non ci sarebbe più. Hanno fatto il conto proprio gli americani di Earthworks Group e di Diet for a New America. Se ogni cittadino statunitense riducesse la quantità di carne anche solo del 10%, i cereali e la soia risparmiati nutrirebbero in modo adeguato 60 milioni di persone. Le stesse che ogni anno, nel mondo, muoiono di fame.

La nostra azienda fa ridere i polli

Lo si legge sulla bella confezione di cartone di uova d’una fattoria biodinamica. Dove, cioè, l’agricoltura si fa nel rispetto della natura, e le galline (e i polli) razzolano felici: le uova così prodotte, recano sul guscio il numerino «0».

Come sono gli altri allevamenti? Provate a pensare di passare la vita in piedi su una mattonella: alle galline da carne e ovaiole succede così, nel nostro paese e in tutta Europa. Lo spazio a disposizione per le sfortunatissime galline negli allevamenti «in batteria» è meno di un foglio di quadernone, per tutta la vita. Alla nascita, i pulcini maschi vengono «scartati», gettati via e tritati vivi. Per evitare che si “danneggino” (sono considerati degli oggetti) viene tagliato con una pinza il becco o bruciati i tendini delle ali. Mai buio, mai riposo: la luce è accesa 24 ore su 24, per scodellare quante più uova possibile. È sufficiente entrare in un allevamento in batteria per non assaggiare mai più un uovo o un pollo proveniente da questi tunnel dell’orrore. Le uova così prodotte recano stampigliato sul guscio il numerino «3».

In Italia ogni anno 40 milioni di galline sono detenute così, in gabbie di batteria per produrre 12 miliardi di uova, mentre 400 milioni di polli finiscono in tavola. Negli allevamenti intensivi si usano becchimi pessimi con le famigerate «farine animali», prodotti di scarto, per massimizzare il profitto, spesso mescolati al loro stesso guano (nei loro escrementi rimane qualcosa di non ancora digerito). La situazione di stress in cui si trovano le galline aumenta esponenzialmente la necessità di antibiotici e il rischio di assimilare elementi nocivi. Nei mangimi dei polli e dei maiali belgi fu trovata diossina, PCB (bifenile policlorurato) – come mangiare insalata di pollo condita con olio di macchina usato! –, altamente tossici: era il 1998, il primo grande scandalo alimentare che spazzò l’Europa.

Il bando all’allevamento in batteria delle galline, pur essendo previsto da diverse bozze normative in Europa, slitta in continuazione.

Come si fa a rendere pallida, «rosea e delicata» la carne dei vitelli?

Al terzo-quarto giorno di vita, il vitellino si toglie alla mamma. Lo si mette in un box di contenzione, lungo un metro e mezzo e largo mezzo, con una catena al collo per impedire ogni movimento (la catena potrà esser tolta quando sarà cresciuto tanto da occupare tutto il ristretto spazio del box). I vitelli non vedranno mai né paglia né fieno: mangiarne potrebbe rovinare il colorito delle carni!

Allora vengono nutriti con budini semiliquidi iper-proteici che causano un’inestinguibile arsura (l’acqua è loro assolutamente negata, per indurli a ipernutrirsi, mangiando più budino e più velocemente) e un’inarrestabile dissenteria per spingerli all’anemia: ecco le carni sbiancate. I vitellini si ammalano di infezioni, disordini digestivi e ulcere, allora devono essere sottoposti a cicli costanti di trattamenti antibiotici. Dopo tredici-quindici settimane vedranno per un attimo il cielo, il sole: per entrare nei camion che li porteranno al macello. La carne di vitello viene sconsigliata da molti pediatri.