E’ noto come l’impiego di molti animali sia oggi fondamentale per portare avanti alcune attività: come quelle dei pellicciai e degli addetti alla lavorazione del legno. Scopriamo nel dettaglio, però, cosa significa utilizzare gli animali, quindi annientarli, in favore del business.

Gli animali da pelliccia: una tortura senza fine

Per quanto riguarda gli animali «da pelliccia» più comunemente impiegati dalle concerie italiane, i visoni, sono definiti parametri di allevamento che prescrivono un minimo di condizioni vitali accettabili. I visoni, le cui dimensioni sono quelle di un piccolo gatto domestico, sopravvivono in gabbie che hanno una superficie più piccola di un foglio da fotocopie. Uno studio dell’Università di Oxford, pubblicato su “Nature”, ha confermato che nonostante la riproduzione in cattività da generazioni, i visoni non sono stati addomesticati. È quindi innaturale tenerli in gabbie e negargli l’accesso all’acqua. Le preoccupazioni su questo tipo di attività sono di carattere etologico, etico ed ecologico. Il visone non è un animale autoctono e la sua potenziale diffusione negli ambienti naturali riporta alla memoria il caso delle nutrie, altro animale «da pelliccia», ampiamente importato nel nostro Paese.

Il Ministero dell’Agricoltura italiano, infatti, fu protagonista nel 1928, con l’Istituto Nazionale di coniglicoltura di Alessandria, delle prime importazioni di nutrie per pellicce, attività poi fallita e che tanti danni ha causato alle stesse nutrie e successivamente all’ambiente e ad altri animali per la diffusa presenza in campagne e città. L’articolo 3 e il relativo punto 22 dell’allegato del Decreto legislativo stabiliscono un percorso per lo smantellamento di questo tipo di allevamenti. Sono state fissate tre tappe: dal 1° gennaio 2002 tutti gli allevamenti dotati di gabbie con superfici inferiori a 1.600 centimetri quadrati e/o altezza inferiore a 35 centimetri dovevano adeguarsi alle misure minime degli spazi per visone allevato in gabbia. Dal 1° gennaio 2006 per tutti gli allevamenti l’adeguamento dovrà avvenire in tutti i casi di presenza di gabbie con superfici superiori ai 1600 cmq e/o altezza superiore a 35 cm. Dal 1° gennaio 2008 l’allevamento doveva avvenire a terra in recinti opportunamente costruiti e arricchiti, capaci di soddisfare il benessere degli animali. Tali recinti dovranno contenere appositi elementi quali rami dove gli animali possano arrampicarsi, oggetti manipolabili, almeno una tana per ciascun animale presente nel recinto. Il recinto deve inoltre contenere almeno un nido.

Magari, prima di allora, non ci sarà più bisogno di allevamenti di animali da pelliccia. Basta smettere di comprarne.

No alle pellicce di cane e di gatto

L'articolo 2 della Legge 189/2004 (la famosa legge antimaltrattamento) introduce il divieto, in Italia, di produrre, confezionare, commercializzare e importare pellicce di cane e gatto nonché capi d’abbigliamento e articoli di pelletteria derivanti da essi. Per la precisione, la Legge così recita:
“

1. È vietato utilizzare cani (Canis familiaris) e gatti (Felis catus) per la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le stesse nel territorio nazionale.


2. La violazione delle predette disposizioni è punita con l'arresto da 3 mesi ad un anno o con l’ammenda da 5.000 a 100.000 euro.


3. Alla condanna consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui al comma 1.”
Finalmente anche l’Italia dice basta alle pellicce di cane e di gatto. Con la Legge 189/2004 si rende definitiva un’ordinanza ministeriale di tre anni fa che aveva dato una risposta immediata all’indignazione suscitata nell’opinione pubblica italiana dallo scandalo dell’importazione e della vendita di pelli di cani e gatti. Ogni anno, infatti, nei paesi extracomunitari (asiatici e Cina in primo luogo), decine di milioni di questi animali vengono catturati e scuoiati con sofferenze indicibili. Gaia Animali & Ambiente per prima aveva denunciato le importazioni in Italia di pelli di cane e gatto. Poi alla denuncia si erano unite molte altre associazioni animaliste ed ecologiste, fino a creare un vasto movimento di opinione pubblica. Il gran lavoro ha finalmente portato risultati concreti.

Scimpanzé e gorilla a rischio di parquet 

«Nei periodi in cui il commercio del legname è fiorente, nella regione dell’Ogouè (Gabon) regna costantemente la carestia, perché gli indigeni trascurano le colture, impegnati come sono ad abbattere il maggior numero possibile di alberi. Negli acquitrini e nelle foreste dove lavorano, essi vivono di cibi conservati e riso d’importazione, che acquistano coi loro guadagni» scriveva già nel 1921 in Dove comincia la foresta vergine Albert Schweitzer.

L’immenso patrimonio forestale, naturale e di biodiversità del Gabon e del Bacino del Congo è oggi messo in pericolo dallo sfruttamento intensivo delle compagnie forestali occidentali che hanno in concessione tutte le aree di foresta primaria. Le grandi distese di foreste del Bacino del Congo e del Gabon offrono cibo, risorse e acqua a milioni di persone. Il taglio della foresta priva i villaggi di risorse vitali per il futuro. I cantieri e le strade aperte dai forestali creano bracconaggio intensivo che impoverisce la caccia e la pesca di sussistenza dei villaggi.

L’Africa è ricchissima di materie prime e di risorse naturali pregiate, come coltan, oro, diamanti, petrolio, metalli e minerali, uranio. Uno dei minerali elettroconduttori più potenti ed indispensabili per la tecnologia (telefonini, computer e play station), il coltan, proviene proprio dalle foreste centrafricane (in particolare del Congo).

I paesi del continente che si trovano nella fascia equatoriale-tropicale e che sono ancora ricchi di foresta, assicurano alle proprie popolazioni acqua e cibo, grazie a una natura rigogliosa e a fiumi e corsi d’acqua generosi. Un equilibrio naturale che lo sfruttamento intensivo e la deforestazione, compiuti per lo più da compagnie dei paesi ricchi o emergenti come la Cina, sta mettendo in serio pericolo.

Le popolazioni locali non beneficiano affatto e non sono per nulla coinvolte nei benefici economici e commerciali derivanti dal taglio delle foreste.
 Di gorilla di Cross River ne sopravvivono solo 250. Da soli, al mondo. I gorilla di montagna non sono molti di più. I nostri fratelli d’evoluzione sono scomparsi. Scimpanzé, gorilla, bonobo, orangutan. E la causa è proprio la deforestazione.