Il taglio delle orecchie affonda le sue radici nella selezione operata dall’uomo su cani che avevano funzioni prettamente pratiche (di guardia, di difesa, di attacco e di combattimento tra cani, oltre che di caccia) e nel cui svolgimento l’animale non doveva procurarsi ferite inutili o offrire all’avversario punti di presa. Essendo ormai venuti meno i motivi pratici che hanno fatto sorgere tale questione, non sussiste oggi la necessità di sottoporre l’animale a un intervento chirurgico a puri fini estetici.
Il taglio delle orecchie è un intervento chirurgico con tutti i rischi connessi. Si esegue in ambulatorio e in anestesia totale. La convalescenza è lunga. Occorrono fino a trenta medicazioni, spesso dolorose, perché le ferite si rimarginino. Spesso vengono utilizzate delle fasciature postoperatorie (i cosiddetti «conetti») che vanno ripetute ogni otto giorni circa fintanto che l’orecchio non resta nella posizione voluta, procurando notevole fastidio all’animale. Non solo. Gli «incidenti di percorso» dell’intera procedura possono essere molti e di diversa origine e possono portare ad accanimenti estetici quali un secondo taglio o l’applicazione di protesi fisse all’interno delle cartilagini. Perché non provare a eliminare quest’inutile tortura?
Del resto molte nazioni in Europa, come la Germania, vietano questi tagli, anche se con qualche deroga. La discussione sull’argomento, in Italia, è aperta. Con favorevoli e contrari. Tra i primi, i veterinari sono quasi tutti concordi: il taglio delle orecchie provoca dolore mentre la mutilazione della coda a pochi giorni di vita non crea enormi traumi. Concordano anche sul fatto che di frequente per cani di alcune razze il taglio delle orecchie comporta persino una trentina di medicazioni prima che le ferite siano definitivamente cicatrizzate. Così molti veterinari, già oggi, fanno obiezione di coscienza: si rifiutano di tagliare le orecchie alle bestiole. Dice ad esempio Giancarlo Bosio, veterinario di Bergamo: «Sono d’accordo nell’evitare il taglio delle orecchie. Nel ventunesimo secolo non si può più concepire l’estetica come risultato della sofferenza di animali». Ferdinando Asnaghi, veterinario di Milano, precisa: «Alcune razze soffriranno dal punto di vista estetico. Ma ne avranno giovamento con una effettiva integrità fisica. Perché dire che non è bello un dobermann con le orecchie lunghe?». Per tutti parla Paolo Bossi, presidente dell’Ordine dei medici veterinari di Milano e provincia: «Ne abbiamo discusso anche come Federazione lombarda dei veterinari», dice. «Più o meno tutti siamo d’accordo: la proposta di vietare le mutilazioni non trova opposizioni. Soprattutto per ciò che riguarda il taglio delle orecchie. Tutto quello che dà sofferenza gratuita agli animali è bene sia rimosso».
Perché non volere un cane che vive in pace e tranquillo con gli attributi che la natura gli ha regalato? In base alle proposte di legge di Gaia e dell’Ufficio Diritti Animali della Provincia di Milano, chi farà tagliare orecchie e coda per ragioni estetiche potrà essere denunciato per maltrattamento agli animali. La sanzione prevista per i trasgressori sarà quella del Codice Penale. Vedremo boxer, bracchi, cocker con la coda, e alani e dobermann con le orecchie lunghe, come madre natura comanderebbe? Probabilmente loro, i diretti interessati, sperano proprio di sì.
Le razze sottoposte a mutilazione sono poco più di una ventina: dai dobermann agli schnautzer, dai boxer agli alani. Le ragioni risalgono a quando i cani venivano privati di parti non vitali per evitare che costituissero punti di presa nei combattimenti o in occasioni di lavoro. In Italia, in una classifica delle mutilazioni, primi sono i rottweiler (7533 cuccioli iscritti nei Libri dell’Ente nazionale della cinofilia italiana) poi vengono i boxer (7127) e i dobermann (4454). In Europa il primo divieto di tagliare orecchie e coda ai cani risale al 1895, quando il Kennel Club inglese legiferò che «nessun cane nato dopo il 31 marzo 1895 può essere premiato in una manifestazione che si svolga secondo i regolamenti del Kennel Club se ha le orecchie tagliate». In alcuni paesi del Nord Europa, quali la Norvegia, la Svezia, la Finlandia e la Danimarca è dagli anni ‘40 che le orecchie non vengono più tagliate ed è proibito portare in esposizioni cani che hanno subito mutilazioni.
Molto più recentemente, e cioè tra il 1987 e il 1988, la questione tornò a essere considerata grazie a un’iniziativa del Consiglio d’Europa: nel novembre del 1987 alcuni Stati del Consiglio d’Europa firmarono la Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia che all’articolo 10 vieta: a) il taglio della coda; b) il taglio delle orecchie; c) la recisione delle corde vocali; d) l’asportazione delle unghie e dei denti. Il nostro paese ha firmato tale convenzione, ma successivamente nessuno dei ministeri preposti si interessò più dei primi due punti.
Da qualche anno anche in Germania è proibito tagliare coda e orecchie e vietato portare in esposizione cani che hanno subito mutilazioni.
Incatenati, esposti al sole e alle intemperie, in spazi angusti, sporchi, soli
Li si vedono nelle campagne, nelle cascine, presso capannoni o attività industriali, autorimesse e simili. Cani legati a catene in condizioni tristissime, a “fare la guardia”. Non c’è nessuna legge nazionale che li slegherà. La legittimità o meno della catena e, eventualmente, la sua lunghezza e le modalità di uso, possono essere però definite in un regolamento comunale o da una legge regionale. Molti Comuni, infatti, sulla materia si regolano in maniera differente. Ed ecco che si scopre che i cani non sono tutti uguali se risiedono a Potenza invece che a Viterbo, a Milano piuttosto che a Cagliari.
Alcuni regolamenti municipali o proposte di regolamento offrono spunti interessanti. È il caso del Regolamento per la Tutela degli animali del Comune di Arezzo e del Comune di Milano, predisposto dall’Ufficio Tutela Animali. Il Comune di Rozzano, con un il Regolamento di tutela e benessere degli animali, approvato nel marzo 2006, ha vietato esplicitamente di tenere i cani alla catena.
Il Regolamento del Comune di Milano prevede che “tenere cani alla catena deve, per quanto possibile, essere evitato. Qualora si renda necessario, occorre che all'animale sia quotidianamente assicurata la possibilità di movimento libero e che la catena sia mobile con anello rotante agganciato ad una fune di scorrimento di almeno 5 metri di lunghezza; ciò non può avvenire per più di otto ore giornaliere. È vietato l'allacciamento della catena a collari a strozzo o similari”.
Si tratta di un significativo passo avanti, considerando come sono tenuti i cani in moltissime cascine, casolari agricoli, autorimesse e magazzini, perennemente alla catena ed esposti alle intemperie.
Cosa fare se vediamo un cane alla catena in condizioni penose?
Sui cani alla catena è questione di interpretazioni. Se il vigile convocato lo riterrà un maltrattamento, allo sconsiderato padrone spetta una reprimenda. Una telefonata alle guardie zoofile e alla polizia locale saprà informarci dell’esistenza o meno di una delibera o un regolamento comunali sul benessere animale. Se si è testimoni del protrarsi nel tempo, per giorni e giorni, della condizione di disagio al limite del maltrattamento (privazione di acqua o cibo, assenza di un riparo...) si potrà chiamare qualunque forza di polizia giudiziaria per impedire la perpetuazione di un reato.